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Dipendenti e benessere: in azienda arriva il Direttore della felicità

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01/02/2018 - Prende piede una nuova figura, studiata per non far scappare i migliori talenti: "Il suo compito è curare i lavoratori, interpretarne i bisogni, fare in modo che ognuno di loro sia soddisfatto del posto dove lavora"

ROMA - Gente brava a lavorare con programmi informatici, data base e quant'altro gira intorno alle nuove tecnologie, se ne trova poca. Trovarla è già un successo per le imprese, ma trattenerla è un passo ancora più difficile, fino a diventare complicato se si tratta di Millennials, che a differenza dei padri se sono qualificati, non si accontentano solo di una buona retribuzione e prendono la fuga verso lidi più attraenti, tanto sanno che il posto garantito a vita non ce l'hanno più.

E' nata così una nuova figura professionale, che in Italia sta facendo i primi passi e negli Usa ha già un nome, Chief happiness officer, che tradotto letteralmente altro non è che manager della felicità. D'altra parte la felicità o almeno la libertà di raggiungerla è nella stessa Costituzione Usa. E chi non vorrebbe vedere un manager della felicità aggirarsi tra i corridoi, magari grigi e tristi, dell'azienda in cui lavora.

La domanda però è: ma che cosa farà mai per rendere felici i dipendenti? E' nello staff della direzione del personale e il suo compito è ottenere il benessere dei dipendenti, interpretarne i bisogni, fare in modo che ognuno di loro sia soddisfatto del posto dove lavora.

"E' anche così che si trattengono i migliori talenti in azienda - spiega Francesca Contardi, mananging director di EasyHunter - anche perché nel mondo dei colletti bianchi è iniziato il turnover e nelle grandi imprese, parliamo di quelle con circa 500 dipendenti, stanno iniziando a entrare il Millennials - e avere a bordo persone motivate e serene diminuisce l'assenteismo, favorisce la collaborazione tra i colleghi, migliorando così anche le performance dei singoli. E di conseguenza, dell'intera struttura".

Ciò che offre il manager delle felicità dunque non si conta in termini di vile di denaro, non si monetizza insomma, come avviene al contrario con i benefits, né fa parte propriamente di quei pacchetti di welfare che sempre più stanno entrando nelle imprese. "Il manager della felicità deve prima di tutto saper ascoltare, così da capire cosa desiderano i dipendenti - aggiunge Francesca Contardi - ma anche saper organizzare al meglio gli spazi di lavoro in relazione al fatto che i nuovi dipendenti e i trentenni in particolare, sono più attenti agli aspetti legati al benessere del corpo e del Pianeta. Pensi al cibo biologico, ma anche dell'ecologia in senso lato, spazi verdi, ambienti illuminati con luce più naturale possibile.

Ci sono poi oggetti capaci di spezzare il tempo di lavoro in modo attivo, pensi a un calcio balilla vecchio stampo in un ufficio, a un servizio di lavanderia o a una palestra, anche minima, richiesta soprattutto dei maschi. E perché no un servizio di counseling, qualcuno con cui potersi confrontare liberamente".

Negli Stati Uniti sembra stia funzionando. Ci sono ricerche che ne misurano anche la bontà. In Italia, al momento, alcune grandi aziende lo stanno chiedendo, ma siamo all'inizio.

C'è però tutto il settore pubblico e chissà se lì potrebbe funzionare. "Certo farebbe bene - sostiene Francesca Contardi - mi vengono in mente i grandi ospedali come il San Camillo a Roma o il Niguarda a Milano, luoghi di lavoro stressanti. Si vedrà". Di figure così oggi se ne trovano ancora poche, e a cercarle
bisogna trovarle sempre tra chi ha lavorato nelle risorse umane, tra chi ha fatto selezione di personale e dunque ha già un po' la capacità di comprendere chi ha davanti. E anche gli psicologi sarebbero ottimi manager della felicità.

di BARBARA ARDU'

Fonte:http://www.franquinews.es/aef-amplia-compromiso-franquicia/

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