Franchising, retail, business
16/02/2018 - Una sentenza splendida, che, in un certo qual modo, chiude un´epoca e ne apre un´altra, quella della responsabilità.
Dopo un lungo, e da quel che trapela dalle indiscrezioni di alcuni quotidiani, anche contrastato dibattito, la Corte di Cassazione - Quarta Sezione lavoro - ha accolto il ricorso contro la condanna a un anno di reclusione di Vanessa Zaniboni, legale rappresentante della Lupini Targhe, azienda del settore automotive con stabilimento a Pognano (Bergamo) travolta dal fallimento dopo un investimento che ha generato un crac milionario. La donna era stata condannata dalla Corte d´Appello per un reato fiscale, consistente nell´aver omesso il pagamento di tasse dovute allo Stato (l´imprenditrice aveva infatti scelto di pagare gli stipendi ai propri dipendenti).
I giudici di merito erano rimasti assolutamente indifferenti alle asserzioni della donna, ritenendo del tutto superfluo espletare una istruttoria allo scopo di accertare se esse fossero fondate, se cioè proprio quella liquidità che sarebbe stata necessaria per pagare le tasse fosse stata destinata al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti dell´azienda, e per questo l´imprenditrice era stata condannata in secondo grado a un anno di reclusione per omesso pagamento delle tasse.
Ma la Corte di Cassazione ha completamente ribaltato tale assunto. Per i supremi giudici del palazzaccio, la Repubblica si fonda sul lavoro, come stabilisce il primo articolo della Costituzione, e pagare i dipendenti concretizza non solo l´adempimento di un obbligo contrattuale, ma anche di un dovere morale, di rango elevato e tale da non poter essere contrastato o addirittura vanificato dalla contestazione di avere eluso - a causa di tale condotta - i versamenti di tasse e imposte allo Stato, pur se legittimamente e correttamente richiesti e dovuti.
Sulla base di tale correttissima ed encomiabile ricostruzione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d´Appello rinviando gli atti alla stessa Corte territoriale con il compito di riesaminare la vicenda per appurare se la Zaniboni avesse deciso di evadere il Fisco per utilizzare la liquidità per pagare gli stipendi a circa 250 tra operai e collaboratori, ritenendo in questo modo di non compiere un illecito.
Secondo il supremo Collegio l´imprenditore che ometta di versare allo Stato tasse ed imposte allo scopo di pagare correttamente i propri dipendenti non può essere considerato un criminale, come, hanno richiamato i giudici, sta sostenendo, con sempre maggior vigore, la dottrina. Tale situazione, hanno continuato i giudici, è «insorta da una globale situazione economica», cioè dalla crisi, che apre «spazi di manovra» per n consentire più di addebitarem ad una "mala gestio" del singolo imprenditore la «sopravvenuta crisi di liquidità dell´impresa».
"Questa Corte" - riportiamo alcuni passaggi della sentenza - "ha riconosciuto che l´omesso versamento in una situazione di crisi simile può non integrare il
reato, o sotto un profilo dell´elemento soggettivo o sotto il profilo della esimente rappresentata dalla forza maggiore (...) Prendendo le mosse, dunque, da un rigore, per così dire, di sistema che si era conformato in un´epoca economicamente opposta, in cui la sopravvenuta crisi di liquidità dell´impresa derivava ordinariamente dalla mala gestio del singolo imprenditore (...) questa Suprema Corte, alla luce di spiragli già creati da S.U.23 marzo 2013 n.37425, ric. Favellato, ha successivamente aperto spazi di manovra, oscillando appunto, vista anche l´eterogeneità dei concreti casi esaminati, tra la soluzione
rinvenibile nell´esimente e quella riconducibile, invece, al´elemento soggettivo".
Venendo poi al thema decidendum: "Quel che qui rileva è, indubbiamente, l´elemento soggettivo, poiché, come si è visto, il ricorso, raggiunge l´acme delle sue argomentazioni nell´affermare (...) che il dolo non può sussistere in quanto, altrimenti, "non potrebbe che configurarsi un contrasto con la Carta costituzionale laddove dovesse ritenersi la punibilità del
soggetto imprenditore che omette il versamento delle ritenute fiscali, a causa di una crisi finanziaria e per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, pure tutelati dalla Costituzione, con particolare riferimento al diritto al lavoro e alla conseguente retribuzione".
Insomma, tutte le volte che l´imprenditore riesca a provare documentalmente in giudizio che, pur a fronte del mancato assolvimento dell´obbligo della corresponsione all´erario di tasse imposte, abbia corrisposto ai propri dipendenti le retribuzioni ad esse dovute, e che proprio tale corresponsione abbia fattualmente impedito, a fronte della carenza di risorse, l´adempimento anche parziale del primo e richiamato obbligo, tale condotta non è contraddistinta dal dolo, e pertanto, non esistendo alcun reato, per cui l´imprenditore non deve rispondere di nulla in sede penale, essendo comunque tenuto a garantire i mezzi "di sostentamento necessari per le loro famiglie".
Una sentenza clamorosa che costituisce un precedente importantissimo che potrà essere richiamato nelle migliaia di cause anche pendenti di fronte alle magistratura di merito.
Avv. Piero Gurrieri
Fonte:https://www.avvocatirandogurrieri.it/L-imprenditore-paghi-gli-stipendi-poi-se-puo-le-tasse-Sentenza-pilota-della-Cassazione-assolta.htm