Franchising, retail, business
29/05/2014
Uscire dalla crisi attraverso la crescita, il rafforzamento della competitività, le liberalizzazioni: questa era la strategia del decreto «Salva Italia». Il simbolo di questa idea era (e ancora è) l'art. 31 del decreto, con la liberalizzazione degli orari e delle aperture degli esercizi commerciali. Non è solo un tema di competitività, ma un tentativo di adeguare le modalità del consumo alle esigenze legate ai tempi di vita e di lavoro.
Nonostante la linearità della prospettiva, supportata da indagini statistiche, l'art. 31 (nell'originaria formulazione) è stato il bersaglio di una reazione forte, che ha visto in prima linea le Regioni, preoccupate di difendere la propria competenza residuale (erroneamente rivendicata come esclusiva) sul commercio, uno degli strani effetti della riforma del titolo V del 2001. L'opposizione delle Regioni è stata neutralizzata dalla Corte costituzionale, che ha inquadrato la competenza regionale nella materia del commercio dentro il principio finalistico della tutela della concorrenza, che l'art. 117, secondo comma, lett. e) affida alla competenza (questa sì) esclusiva dello Stato.
Per il giudice costituzionale, la nozione di concorrenza comprende: a) gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali: le misure di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) le misure di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese; in questa accezione "dinamica" della materia "tutela della concorrenza" è consentito al legislatore statale intervenire nella disciplina degli orari degli esercizi; l'efficienza e la competitività del sistema risentono della qualità della regolazione, la quale condiziona l'agire degli operatori: una regolazione delle attività ingiustificatamente intrusiva genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori, dei consumatori e dei lavoratori. Anche il presidente dell'Antitrust ha difeso l'art. 31 perché «la tutela della concorrenza o è statale o non ha ragione di essere».
Il fronte di reazione alla liberalizzazione è però determinato. La commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera sta per licenziare un testo (Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali) che modifica l'art. 31, reintroducendo elementi di forte burocratizzazione e controllo pubblico. Si parla di accordi territoriali (predisposti dai Comuni) in materia di orari; consultazioni con le organizzazioni di lavoratori, consumatori, imprese; direttive regionali sul coordinamento dell'adozione e dell'attuazione degli accordi territoriali: un mondo complicato dove la libertà di apertura degli esercizi non esiste più e l'unica cosa certa è la rivincita del pubblico, di un'idea burocratica dell'economia.
Come dimostrano molti studi, la liberalizzazione degli orari ha consentito di sostenere i consumi in una congiuntura terribile, ha ampliato i servizi e le opportunità per famiglie e consumatori, ha mantenuto inalterati i livelli occupazionali della grande distribuzione in un contesto di recessione. Ancora l'Antitrust, nel luglio 2013, di fronte alle difficoltà di natura economica per l'apertura festiva dei piccoli operatori, ha affermato che «la risposta più adeguata non sia nel ripristino della situazione precedente, o nella ricerca di una nuova regolamentazione (...), ma nell'eliminazione dei vincoli che impediscono il pieno realizzarsi della liberalizzazione, lasciando ai singoli soggetti la piena libertà in merito alla scelta di usufruire di tale possibilità». Questo è un punto centrale: la libertà degli orari e delle aperture non è un vincolo, ma una facoltà, parte del confronto concorrenziale e competitivo.
È infine soprattutto l'incertezza il problema per le imprese, che hanno invece bisogno di chiarezza legislativa, di muoversi dentro scenari stabili. Il continuo mutamento degli indirizzi, le oscillazioni sul terreno della concorrenza, allo stesso modo delle misure annunciate e poi rimesse all'attuazione di provvedimenti amministrativi che non vengono mai adottati, creano disorientamento e non favoriscono la crescita.
By: ilsole24ore.com